Neoplasie mieloproliferative

Dott.Giuseppe Fioritoni specialista in Ematologia
Nozioni divulgative sulle principali malattie del sangue

Definizione

Le Neoplasie Mieloproliferative croniche (NMP) Philadelphia-negative sono un gruppo di malattie caratterizzate dalla proliferazione incontrollata, nel midollo osseo, di cellule staminali emopoietiche che portano ad un aumento di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine nel sangue periferico, talvolta con aumento della fibrosi midollare.

midollo osseo nelle malattie mieloproliferative

Classificazione

Queste patologie comprendono:

  • la Policitemia Vera (PV)
  • la Trombocitemia Essenziale (TE)
  • la Mielofibrosi Primaria (MFP)
  • la Mielofibrosi Primaria in fase prefibrotica.

La PV si caratterizza per l’aumento numerico dei globuli rossi nel sangue periferico per l’aumentata proliferazione dei progenitori dei globuli rossi nel midollo osseo; nel 50% dei pazienti può essere documentato anche un incremento delle piastrine e dei leucociti.

La TE è, invece, caratterizzata da una proliferazione persistente e incontrollata dei progenitori delle piastrine, con il conseguente aumento delle piastrine nel sangue periferico.

La MFP si manifesta con un incremento prevalente delle piastrine e dei globuli bianchi, associata alla la fibrosi midollare reattiva.

La Mielofibrosi Prefibrotica si caratterizza per l’aumento del numero delle piastrine, come nella Trobocitemia essenziale, ma per un quadro istopatologico midollare privo di fibrosi, con alterazioni morfologiche dei megacariociti e con un aumento del globuli bianchi più tipico della Mielofibrosi primaria.

Le NMP sono patologie rare, con una incidenza globale che in Europa è stimata pari a 1.8 casi/100.000 persone-anno, ma con tendenza all’aumento. Possono colpire ogni fascia di età, ma generalmente si riscontrano in pazienti di età superiore ai 50 anni, con frequenza crescente con l’avanzare dell’età.

Aspetti biologici molecolari

Questo gruppo di malattie è caratterizzato da anomalie molecolari del DNA che ne facilitano la loro diagnosi e classificazione. L’anomalia molecolare più frequente è la mutazione JAK2V617F, frequentissima nei pazienti affetti da Policitemia Vera (95%), ma presente anche nei pazienti affetti da Trombocitemia Essenziale (55%) e con Mielofibrosi Primaria (65%).

Altre mutazioni sono quelle del gene MPL e del gene CALR presenti nella Trombocitemia Essenziale e nella Mielofibrosi. Tuttavia rimane un gruppo non trascurabile di pazienti, apparentemente privi di un marcatore molecolare noto, cosiddetti pazienti “tripli negativi” la cui diagnosi si basa soprattutto sui dati ematologici, istopatologici e clinici.

Non c’è ereditarietà per queste malattie, ma ci può essere familiarità, ovvero la predisposizione genetica ad acquisire le suddette mutazioni.

Sintomi

Molti pazienti affetti da neoplasie mieloproliferative non presentano sintomi al momento della diagnosi; in questi casi la malattia viene identificata casualmente in corso di controlli del sangue.

A volte la diagnosi viene formulata per la concomitanza di eventi trombotici (trombosi venosa superficiale o profonda, ictus cerebrale, ischemie transitorie, infarto del miocardio, trombosi portale) o, più raramente, di tipo emorragico (ad esempio emorragie del tratto gastroenterico).

I pazienti affetti da Policitemia vera presentano spesso un colorito acceso del volto e delle mucose (eritrosi), cefalea, vertigini, ronzii, disturbi visivi, fenomeni Raynaud-simili. L‘eritromelalgia, ovvero sensazione di bruciore, arrossamento e calore alle palme delle mani ed alle piante dei piedi, è spesso presente. Questi disturbi della microcircolazione possono regredire o migliorare con l’assunzione di piccole dosi di acido acetilsalicilico. Un sintomo molto caratteristico è il prurito generalizzato, scatenato prevalentemente dal contatto con l’acqua (prurito acquagenico); alcuni pazienti presentano splenomegalia o epatomegalia.

I pazienti affetti da Trombocitemia Essenziale possono presentare cefalea, vertigini, ronzii, parestesie periferiche, disturbi della vista, livedo reticularis e fenomeni Raynaud o eritromelalgia. Sono invece rari i sintomi sistemici e la presenza di epatosplenomegalia.

Nella Mielofibrosi primaria, il 70% dei casi presenta sintomi sistemici quali sudorazioni notturne, perdita di peso e febbre. La splenomegalia è presente alla diagnosi nel 90% dei pazienti e spesso si associa anche epatomegalia.

La PV e la TE presentano, con il trascorre degli anni, un rischio di evoluzione in Mielofibrosi secondaria ed un rischio di evoluzione leucemica inferiore al 10%. Al contrario, nella Mielofibrosi primaria il rischio di evoluzione leucemica è maggiore, sino al 30% dei casi. In questa complessa patologia è inoltre più elevata l’incidenza di infezioni, emorragie, ipertensione portale e l’insufficienza epatica secondarie a trombosi della vena porta. Spesso sono presenti focolai di emopoiesi extramidollare (produzione di cellule del sangue fuori da midollo osseo), principalmente nella milza e nel fegato ma anche in sedi insolite quali il polmone, la pleura, il pericardio, la regione paravertebrale.

Diagnosi ed esami

La diagnosi di NMP viene posta in accordo con i criteri diagnostici stilati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO 2008), validati a livello internazionale e specifici per ciascuna malattia. La diagnosi differenziale tra Trombocitemia Essenziale e la Policitemia Vera, a volte può essere difficoltosa perché queste affezioni, in alcune fasi del loro decorso possono presentare certo grado di sovrapposizione del quadro clinico, ematologico ed istopatologico.

I principali esami utili per la diagnosi delle neoplasie mieloproliferative sono:

  • esame emocromocitometrico
  • gli esami di biologia molecolare per la ricerca delle mutazioni dei geni JAK2, MPL e CALR, esame istologico midollare
  • esame microscopico delle cellule del midollo osseo e del sangue periferico
  • l’esame di cariotipo
  • screening trombofilico
  • ecografia addominale
  • oltre al profilo biochimico ed indagini strumentali per la diagnosi differenziale con altre patologie.

Score prognostici

Nella Policitemia Vera e nella Trombocitemia Essenziale, l’età superiore ai 60 anni e l’ anamnesi personale positiva per eventi trombotici costituiscono i principali fattori in base ai quali possiamo individuare i pazienti a basso (quando sono assenti entrambi i fattori) ed i pazienti ad alto rischio (in presenza di almeno una delle due variabili).

La sopravvivenza di questi pazienti è generalmente di lunga durata e, specie per la Trombocitemia essenziale assai simile alla popolazione normale della stessa età.

La Mielofibrosi (MFP) si caratterizza, invece, per una maggiore complessità tanto sul piano biologico quanto su quello clinico-assistenziale, con sopravvivenze variabili dai 15 anni a meno di 5 anni. I pazienti affetti da MFP, utilizzando un sistema di punteggio basato su criteri ematologici e clinici definito International Prognostic Scoring System (IPSS), possono essere distinti in differenti gruppi di rischio, ovvero quelli a prognosi molto buona (privi di fattori di rischio, con sopravvivenza superiore agli 11 anni) e quelli con prognosi estremamente sfavorevole (con tre o più dei fattori di rischio, che hanno una sopravvivenza di poco più di 2 anni).

Terapia

Per i pazienti affetti da NMP, al momento attuale, non disponiamo di cure in grado di indurre la guarigione della malattia, ad eccezione del trapianto di cellule staminali emopoietiche che però è da riservare a pazienti adeguatamente selezionati e con fattori prognostici molto sfavorevoli.

La terapia medica si propone soprattutto di ridurre il rischio di eventi vascolari trombotici o emorragici, di controllare i sintomi sistemici, di ridurre la splenomegalia, i disturbi della microcircolazione e l’anemia, quando presente.

La terapia antiaggregante con aspirina si è dimostrata efficace per ridurre il rischio di trombosi e nel controllo dei disturbi della microcircolazione, deve essere sospesa quando le piastrine superano 1.000.000/mmc perché aumenta il rischio emorragico.

I pazienti affetti da Policitemia Vera a basso rischio debbono essere tratti con salassi venosi periodici con lo scopo di mantenere l’ematocrito al di sotto del 45% e con terapia antiaggregante con basse dosi di acido acetilsalicilico. La terapia citoriduttiva di prima linea con l’Idrossiurea è indicata per tutti i pazienti con PV ad alto rischio o in quelli intollerati alla salasso-terapia o con elevato fabbisogno di salassi, in quelli con splenomegalia sintomatica e progressiva o presenza di sintomi severi correlati alla malattia, con valori delle piastrine superiori a 1.500.000/mmc o con progressiva leucocitosi.

Una possibile alternativa è rappresentata dal Ruxolitinib, farmaco JAK2 inibitore, oggi indicato nei pazienti affetti da Policitemia Vera resistenti o intolleranti all’Idrossiurea, per ottenere miglior controllo della splenomegalia e dei sintomi sistemici.

I pazienti affetti da Trombocitemia Essenziale a basso rischio son trattati solo con terapia antiaggregante con basse dosi di acido acetilsalicilico, per valori di piastrine non superiori a 1.000.000/mmc. La terapia citoriduttiva di prima linea con Idrossiurea è indicata nei pazienti ad alto rischio e nei casi con conta di piastrine superiore a 1.500.000/mmc in cui sussiste un elevato rischio di tipo emorragico. Come opzione terapeutica di seconda linea vi è l’Anagrelide, farmaco non leucemogeno, ma che può associarsi ad un aumento del rischio di disturbi cardiaci, di eventi vascolari (trombosi arteriose e sanguinamenti maggiori) e forse di evoluzione fibrotica midollare. Anche l’Interferone è una valida alternativa, ma con le stesse riserve previste per la P.V. in termini di efficacia ed effetti collaterali.

Per i pazienti con Mielofibrosi l’inizio di una terapia medica deve tenere conto della categoria di rischio del singolo paziente, dell’età, delle eventuali co-morbilità, del quadro clinico e dei sintomi sistemici, dell’anemia o della splenomegalia.

Il paziente asintomatico, senza voluminosa splenomegalia può essere tenuto in semplice osservazione. Nei pazienti con malattia florida attivamente proliferante (splenomegalia, leucocitosi, piastrinosi) è invece indicato un trattamento citoriduttivo con Idrossiurea.

La splenectomia è indicata solo in casi particolarmente selezionati, per il rischio elevato di complicanze a volte anche mortali.

Il Ruxolitinib, farmaco inibitore di JAK2,è approvato per l’utilizzo clinico nei pazienti a rischio intermedio 2 o alto, con milza molto voluminosa. Il Ruxolitinib è attivo anche nei i pazienti con le mutazione di MPL e CALR che agiscono attivando la stessa via metabolica intracellulare di JAK2.

Il farmaco riduce la splenomegalia e la sintomatologia sistemica (astenia, prurito, febbre, sudorazioni notturne), ma spesso causa anemia e piastrinopenia, anche di grado severo e talora con necessità di supporto trasfusionale. Ulteriori effetti collaterali sono soprattutto possibilità di infezioni opportunistiche. Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, unica terapia potenzialmente in grado di guarire la Mielofibrosi, viene riservata esclusivamente ai pazienti giovani con malattia aggressiva e rapidamente progressiva (rischio intermedio-2 o alto secondo gli score prognostici in uso), ma è tuttavia gravata da un elevato rischio di complicanze e di mortalità.